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sabato 3 marzo 2018

Previsioni Oscar 2018

Miglior Film. La categoria che negli ultimi anni è diventata più difficile da prevedere da quando cioè scorporano film e regia. Tutti dicono Tre Manifesti, ma non mi fido. Primo perché il film non mi ha convinto fino in fondo, secondo perché non è un film propriamente da academy.

Miglior Regia. Tutti dicono Del Toro, ribadisco che a me non fa impazzire né lui né il film.

Miglior Attore Protagonista. Sarebbe scontato dire Gary Oldman visto il cambiamento radicale a cui si è posto per interpretare il grande stratega britannico. Più che altro sarebbe un riconoscimento per la carriera (sempre però rigorosamente da non-protagonista).

Miglior Attrice Protagonista. La McDormand sembra avere la strada spianta sebbene a me nel film non mi abbia fatto impazzire per niente, anzi l'ho trovata insopportabile nella sua eccessiva mascolinità, sempre col broncio, mai un cambio d'espressione.

Miglior Attore Non-protagonista. Sam Rockwell se la merita tutta. Carriera alquanto bizzarra quella di questo attore, nei primi duemila in rampa di lancio (soprattutto grazie al film di Clooney Confessioni di una mente pericolosa) poi totalmente crollato e adesso da un po' di anni che piano, piano sta risalendo la china e questo ruolo ne è la consacrazione. Concorrenza spietata però per il buon Sam perché sia Woody Harrelson e Richard Jenkins vengono da prove veramente convincenti (soprattutto il secondo sottovalutato nei primi anni di carriera).

Miglior Attrice Non-Protagonista. Personalmente lo darei a Allison Janney attrice semisconosciuta ma che ho sempre apprezzato da dei tempi di West Wing. Non vedo grandi rivali, forse la "sorella" di Daniel Day Lewis in Phantom Thread, grande attrice anche quella.

Migliore Sceneggiatura Originale. Se vince miglior film Tre manifesti potrebbe vincere anche sceneggiatura originale, ma secondo me lo vince Greta Gerwig con Lady Bird perché in degli Oscar come questi un premio a una donna va dato.

Miglior Sceneggiatura non-Originale.  Potrebbe vincere il film di Guadagnino, però attenzione c'è Aaron Sorkin.

Miglior Film Straniero. Non mi esprimo.

Miglior film d'animazione. Coco, sicuramente.

Miglior Fotografia. Blade Runner 2049

Miglior Montaggio. Dunkirk

Miglior Scenografia. Se la giocano Blade Runner e The Shape of Water, secondo me vince quest'ultimo.

Miglior colonna sonora.  Il filo nascosto.

Miglior Canzone. Remember me Coco

Migliori Effetti Speciali. Star Wars Gli ultimi jedi

Miglior Sonoro. Dunkirk

Miglior Montaggio Sonoro. Dunkirk

Migliori Costumi. Il filo Nascosto

Miglior Trucco. L'ora più buia


lunedì 19 febbraio 2018

Shape of Water Commento

1) Mai stato un gran fan di Del Toro.
Il labirinto lo vidi per motivi extra-cinematografici
2)Grandissimi i due attori di contorno (Jenkins e Stuhlbarg)
Sally Hawkings più brava in altri film
Michael Shannon è sempre uguale a se stesso (fa lo stesso personaggio da World Trade Center del 2006).
3)Apprezzabile la scelta stilistica artistica quanto basta, ma mai sborona alla Blade Runner 2.
4)Non sei un grande regista se in un film nel cui titolo c'è la parola "acqua" mi riprendi l'acqua in tutti i modi e in tutte le forme, è troppo facile.
5)Tutti i passaggi di trama sono prevedibili fin dalle prime inquadrature, ma questo non è sempre un male.
6)Inizio lento, parte centrale magnifica, parte finale secondo atto leggermente sottotono, finale un po' troppo facilone, ma alla fine la lacrima scappa.
7)I cinematografari che si fanno le pippe sul cinema nei loro film stanno diventando insopportabili.

sabato 18 marzo 2017

Logan Recensione

Trama. Anno 2029. I mutanti sono quasi estinti. Gli unici sopravvissuti sono costretti a vivere nell'ombra per nascondersi da una potente associazione, la Transigen, che mira al loro completo annientamento. Logan è invecchiato e non è più forte come un tempo. Si divide tra gli Stati Uniti, dove lavora come autista di Limousine e il Messico dove si prende cura di due mutanti sopravvissuti: il reietto Calibano e il vecchio professor Xavier. Il suo obiettivo guadagnare abbastanza soldi per potersi comprare uno yacht e vivere sul mare con il vecchio professore. Un giorno però viene avvicinato da una donna di origine ispanica Gabriella, ex infermiera della Transigen, che chiede il suo aiuto: porta con sé una bambina mutante e hanno bisogno di raggiungere il North Dakota dove dove si dice ci sia una colonia di mutanti sopravvissuta. Logan all'inizio è riluttante, ma poi accetta appena assiste ai poteri della bambina. Partiranno lui, la bambina e il professor Xavier. Dovranno fare i conti però con la Transigen che vuole assolutamente portare a termine il lavoro.

Commento. Fin dal trailer era chiaro che questo Logan sarebbe stato un qualcosa di diverso dagli X-Men e dai precedenti Wolverine. Lo testimoniavano l'aspetto provato e il viso scavato di Hugh Jackman, l'ambientazione desertica (insolita per un film dei supereroi che spesso prediligono l'ambiente metropolitano) e il ritorno di un grande protagonista di questo franchise l'indimenticabile Patrick Stewart nel ruolo del Professor X. James Mangold compie delle scelte coraggiose escludendo tutte le caratteristiche ormai canoniche dei super hero movie. E il motivo è semplice, Logan un supereroe non è o meglio il suo è un processo per diventare un eroe, un vero eroe.
All'inizio vedremo il solito Logan, sarcastico, disincantato, incazzoso, poi gradualmente le cose cambiano e Hugh Jackman (che in questo ruolo a mio avviso ha sempre dato il meglio del suo talento attoriale) riesce a far avvertire scena dopo scena piccoli, ma decisivi cambiamenti.
Il primo atto è magistrale, la capacità di calare un eroe come Wolverine in un contesto quotidiano funziona in modo egregio (vedere la scena dentro la limousine con le ragazze). Mangold riesce a creare un futuro distopico senza cadere negli stereotipi del genere apportando invece piccoli cambiamenti quasi impercettibili che però riescono a restituire la sensazione di un futuro malato e oscuro.
Il secondo atto è un on the road dove comincia a uscire fuori il grande talento attoriale di Patrick Stewart e cominciamo a conoscere Dafne Keen (che personalmente ho preferito nella prima parte muta, rispetto a quando comincia a parlare nella seconda, ma forse è colpa di un poco chiaro doppiaggio). Il ritmo è proprio il classico che del road movie, il problema alla macchina, la fermata a Las Vegas, l'incontro con dei gentili viaggiatori. Sentiamo la famiglia (nonno-padre-figlia) in tutti quei piccoli gesti quotidiani tipici di un viaggio e non mancheranno anche scene più leggere.
Nel terzo atto il film perde di brillantezza. Alcuni passaggi di trama non sono proprio chiari (tutta la vicenda del gruppo Transingen in Messico è spiegata male, così come è poco chiaro il ruolo di Calibano) e i due/tre villain non riescono ad essere incisivi come dovrebbero (ma si sa il vero nemico di Wolverine può essere solo il colonnello Stricker). Il combattimento finale ha delle parti appassionanti, ma non è coinvolgente come dovrebbe.

Conclusione. Che dire, film veramente ben fatto. Dopo lo scherzo Deadpool arriva la vera e propria riscrittura del genere e non poteva che mettere al centro il personaggio di Wolverine uno dei più amati e dei più riusciti dell'Universo Marvel. Questo film dimostra che si può uscire dai binari prestabiliti del super-hero movie e cercare altre strade per affrontare questo genere. La Marvel Disney dovrebbe imparare dalla saga di X Men che dal 2000 a oggi ha saputo reinventarsi in stili e narrazioni sempre nuove e diverse. Però qualche cosa non gira come dovrebbe, il finale manca di quell'epicità che secondo la saga conclusiva di un personaggio del genere forse avrebbe richiesto. Ma ciò non intacca però una struttura d'insieme veramente di pregevole fattura. Logan è la prova che si può parlare di un supereroe senza per questo sbilanciarsi troppo sulla leggerezza (Marvel) né su una ridondante componente dark (Batman e Dc Universe). Mangold riscrive completamente il genere a metà tra un western e un on the road e riesce anche a riprendere, rielaborandola, l'atmosfera di Breaking Bad (le scene del deserto me lo hanno ricordato tantissimo).

venerdì 3 marzo 2017

Trainspotting 2 Recensione

Trama. Sono passati vent'anni da quando Mark Renton è fuggito da un albergo di Londra con una borsa con dentro 16.000 sterline lasciando i suoi amici al verde.
Nel 2016 Spud ha ancora problemi di dipendenza e non riesce a stare vicino al figlio come vorrebbe. Sick Boy con complicità di una ragazza bulgara ricatta con video compromettenti personaggi di alto spicco. Franco Begbie è in prigione, ma ha un piano per evadere.
Mark decide di tornare e di ripresentarsi ai vecchi amici. Sick Boy gli propone di entrare a far parte di un affare: aprire una sauna/bordello. Intanto Franco è uscito di prigione e appena viene a conoscenza del ritorno di Mark non vede l'ora di fargliela pagare.

Commento. Premetto che non sono mai stato un fan sfegatato del primo film. L'ho visto abbastanza cresciuto e quindi non l'ho mai vissuto come un vero e proprio cult  Però l'ho molto apprezzato soprattutto per la sua compattezza e per alcune soluzioni visive veramente innovative.
Rispetto questo sequel sono stato preso da un sentimento contrastante: all'inizio non avevo nessuna voglia di andarlo a vedere, poi vedendo qualche trailer la voglia mi è venuta. Il film si ispira a Porno (il libro di Irvine Walsh che raccontava le vicende dei personaggi di Trainspotting nove anni dopo il primo episodio), ma se ne discosta in molte parti. Ma qui giudichiamo i film, non i libri e neanche i rapporti tra film e libro.
Il film non delude minimamente le aspettative. Non ha la pretesa di essere un vero sequel e neanche di imporsi come un nuovo cult. Rappresenta invece una fedele continuazione del primo capitolo, ma con la consapevolezza che sono passati vent'anni. I personaggi sono invecchiati nell'anima e nei corpi, è cambiata Edimburgo che accoglie chi arriva all'aeroporto con delle ragazze slovene in kilt, è cambiato il mondo e le cose da "scegliere" per avere una vita "normale".
Sono passati vent'anni, il tempo si dice che lenisca le ferite, forse per alcuni è così, per altri non proprio. Quello che resta è un grande senso di appartenenza al passato, al gruppo di amici, a una città,  ai posti di una città dove si è vissuto qualcosa di significativo, al ricordo di sventure che forse, per averle vissute con delle persone a cui tenevi, così tanto sventure alla fine non lo erano. E quindi nel film si avverte la stanchezza, ma allo stesso tempo il piacere di ritrovasi dopo tanto tempo, nel perdersi in ricordi felici e dolorosi, senza mai però scadere in una spirale nostalgica. Il tempo che passa lo vediamo nelle rughe di Spud, nella stempiata di Sick Boy, nella pancia e nei baffi grigi di Begbie. L'unico che sembra non aver risentito del passare del tempo è la star Ewan McGregor e questa percezione recepita dal pubblico è anche colta dagli altri personaggi che gliela fanno costantemente notare. Lui è l'unico a non essere invecchiato, ad essere sempre lo stesso (per averne una prova aspettare la scena finale).
La vera abilità di Boyle e dello sceneggiatore John Hodge è quello di raccontare una vera amicizia fatta di scontri e di duelli: quella fra Mark e Sick Boy che nel tentativo di reprimerla non fanno altro che farla sgorgare nella sua impetuosa contraddittorietà, quella tra Franco e Mark che si completa nella resa dei conti che inizia in un bagno di una discoteca e si conclude dentro una sauna piastrellata in vetro. Il tutto raccontato senza retorica, senza abbellimenti, senza abbracci o lacrime. Amicizie e rapporti che si forgiano  nelle bastardate reciproche, negli inganni, nelle violenze, nei tradimenti e attraverso donne contese. Nel film infatti l'eroina non c'è più (salvo una fugace apparizione), ma c'è una donna, Veronika, la cui presenza andrà a condizionare il fragile ricostituirsi dell'amicizia. Veronika, interpretata dall'attrice bulgara Anjela Nedyalkova, è il centro gravitazionale del film attorno a cui i personaggi calibrano le loro scelte strategiche, ma che forse non viene sfruttata in tutte le sue potenzialità. Si ha l'impressione che lo si è fatto per non togliere spazio alla presenza dei quattro personaggi principali e forse è anche giusto così (stessa sorte spettava al personaggio di Kelly Mac Donald nel primo film)
Oltre Veronika un altro personaggio leggermente fuori fuoco è Spud, lo sfigato del gruppo. E' l'unico personaggio ad avere una linea narrativa confusa e debole e soprattutto è l'unico che sembra non risentire del passare del tempo: è tale e quale a quello che avevamo lasciato alla fine del primo. Avrà un riscatto nel finale, ma si ha l'impressione che sia più risultato imposto dall'autore che il culmine del processo narrativo del personaggio.
A condire il tutto una fotografia rinnovata di Anthony Dod Mantle che sceglie di abbandonare il tono realistico del primo episodio, per prediligere un impronta cromatica molto forte tutta giocata sul giallo e sul blu. Ma il grigio del primo film ritornerà. Boyle invece dimostra come sempre la sua abilità dietro la macchina da presa, ma personalmente mi sarei risparmiato qualche "trovata visiva" che dovrebbe risultare innovativa, ma che invece ricorda tanti trucchetti usati spesso in film recenti (i numeri dei piani proiettati sulla facciata esterna del palazzo, firme e parole che si materializzano in aria, George Best proiettato sulla fiancata di un taxi) non riuscendo ad avere la portata rivoluzionaria che invece avevano avuto alcune trovate del primo film.

Conclusione. Che dire. Trainspotting 2 un film che lascia delle buonissime sensazioni. In un mondo cinematografico che ormai vive di sequel, Boyle riesce a interpretare il format in modo ironico e con intelligenza. Il progetto si rivela vincente nella misura in cui riesce a prendere le giuste distanze dal primo (i vent'anni di distanza in questo caso aiutano) e calibrando saggiamente il delicato "fan service" (tutto l'opposto dell'episodio otto di Star Wars che proprio in questo era stato stomachevole). Coraggiosi gli attori nel scegliere di riprendere ruoli che li avevano consacrati sulla scena internazionale e di farlo con convinzione. Vedendo il film si ha proprio l'impressione che la volontà di ritornare a far vivere queste storie e questi personaggi sia nata proprio da una grande stima e da un grande affetto di tutto il cast.
Ovviamente non parliamo di un capolavoro o di un nuovo cult, ma un film che riesce a fare intrattenimento in maniera egregia che di questi tempi è tanta roba.

martedì 28 febbraio 2017

Barriere Recensione

Trama. Troy Maxson è un ex promessa del baseball che lavora come netturbino a Pittsburgh insieme al suo amico Jim Bono. Oltre a prendersi cura di due figli (di cui con uno ha un rapporto molto complesso) bada anche al fratello Gabe affetto da problemi mentali. A prendersi cura di lui invece c'è Rosa, la moglie, da sempre al suo fianco. Troy è un padre-padrone capace di racconti lunghi e fantastici, ma anche di scatti d'ira e prese di posizione incomprensibili.

Commento. La prima cosa che balza all'occhio nel vedere Barriere è la sua origine teatrale. A differenza di Moonlight (dove Barry Jenkins è stato bravo nell'occultare l'origine dello script) Washington non ha paura di nascondere l'impianto teatrale del testo, anzi lo esibisce senza remore. Tutto ciò diventa evidente nella seconda scena quando Troy e Jim arrivano nel cortile di casa. Il modo in cui Troy comincia a parlare e la moglie Rose si va a sedere su una sedia a cucire è teatro puro. Azioni al servizio delle parole. Il modo in cui Viola si siede mentre Washington inizia il suo monologo mostra quasi la reverenza dell'attrice nei confronti del "pezzo" del collega.
Il cortile, dicevamo, il vero palcoscenico del film. E' qui che i personaggi parlano, si confrontano e si scontrano. Ed è qui che viene innalzato il recinto. Chi non entra in questo recinto non ha la dignità di farsi vedere. La realtà è il backyard, chi ci sta esiste, chi sta fuori non esiste. Ciò che sta fuori diventa il pretesto per confrontarsi e per affrontare i problemi interni ed interiori. Le barriere come da titolo sono triplici: materiali, relazionali tra i membri della famiglia e soprattutto interiori. Barriere dentro i personaggi, ostacoli che non permettono di farli smuovere dalle loro posizioni. Sono infatti tutti convinti di ciò che sono e di ciò in cui credono e lo dimostrano continuamente. E quindi sono barriere che cozzano le une contro le altre. E il rumore è un rumore sordo, di legno, di una mazza da baseball che sbatte su una pallina appesa a un palo.
Denzel Washington è un gigante. In ognuno dei suoi svariati racconti, inventati o meno, delle sue lezioni di vita, delle sue prediche, mette un'intenzione sempre diversa e con essa una diversa musicalità. Vero e proprio dominatore del film dall'inizio alla fine. Forse anche troppo, forse ci fosse stato qualcun altro alla regia avrebbe mitigato la presenza strabordante dell'attore. Nonostante questo il grande cast di contorno riesce ad uscire alla grande, prima fra tutti Viola Davis. A mio parere ingiustamente candidata come non-protagonista, riesce a reggere il confronto con il personaggio di Troy in ogni fotogramma, in ogni sguardo, in una sfida fatta di urla, di sguardi, di lacrime e di rabbia trattenuta nella bocca, una protagonista a tutti gli effetti.
Washington dimostra un grande coraggio e una grande maturità nel scegliere un ruolo del genere. Ha detto basta con i film d'azione dove è da qualche anno imprigionato nel ruolo del "buono" ad ogni costo e assume un personaggio tanto grande quanto piccolo nelle sue debolezze, nelle sue prese di posizioni, nelle lezioni di vita attraverso le metafore del baseball che dispensa in ogni momento. I dialoghi tra lui e la moglie, con i figli, trasudano verità seppur amplificati da un'intensa e a volte invasiva dialettica teatrale.
Il film però alla fine sia per i temi trattati che per la forma che si è scelto di dargli risulta ostico. La sua origine teatrale a volte lo appesantisce, certi dialoghi sono portati troppo in là. La durata (2h10m) per un film del genere è esagerata e i troppi finali appesantiscono l'ultimo atto. Poco chiara infine la figura del fratello Gabe, mal interpretato a mio avviso da Mykelti Williamson che non riesce ad uscire dal clichè del matto.

Conclusione. Il film esce dalla notte degli Oscar con una statuetta (meritatissima) a Viola Davis che finalmente abbandona il suo classico personaggio da "donna con le palle" per interpretare una madre dove riesce a conciliare perfettamente aggressività "materna" e dolcezza. Mancata seconda statuetta invece per il bravo Denzel. Grande prova la sua, ma si ha l'impressione che non si sia dato un freno e a volte la sua interpretazione straborda e mette in ombra quella degli altri. Alla fine si resta con l'impressione di una grande prova attoriale, ma poco sorretta da una regia che gli avrebbe potuto dare una direzione più precisa. Per uno come me che ama la drammaturgia teatrale film apprezzabilissimo, per altri potrebbe risultare pesante e a tratti noiosi.

lunedì 27 febbraio 2017

Oscar 2017 Commento sulla cerimonia

Sicuramente questa cerimonia passerà alla storia come quella della grande gaffe. Se fosse successo in Italia ci saremmo subito dati dei peraccotari e dei dilettanti, per una volta a fare le figure di merda sono i sempre impeccabili statunitensi. Che ci vuole a dare la busta giusta? Dai per favore. Poi Faye Dunaway ha fatto la classica figura della donna che mentre l'uomo cerca di ragionare lo incalza e gli mette fretta (facendolo sbagliare) "dai su, sempre a fare il coglione, di' questo titolo e andiamo a casa che c'ho sonno".
Personalmente questa è la seconda cerimonia che "mi vedo". Metto le virgolette perché, come nel 2014, mi sono addormentato prima dell'inizio, verso le due, per risvegliarmi verso le cinque. Pensavo che avessero chiuso tutti i giochi e invece dopo due ore e mezza ancora dovevano iniziare a dare i premi pesanti. Se fossi nell'Academy rivedrei un attimino questa cerimonia che tra red carpet e robe varie è veramente troppo lunga con un sacco di pubblicità e qualche stacchetto evitabile (o li fai bene bene, altrimenti non li fare proprio).
Per quanto riguarda i premi si conferma la tendenza degli ultimi anni: dare tutti i premi "tecnici", inclusa la regia, a un film e dare il "miglior film" alla pellicola con la tematica più di peso. Personalmente sono molto contento per Moonlight che ha vinto nelle categorie dove meritava. Un film indipendente che vince l'Oscar è qualcosa di abbastanza rivoluzionario e chi lo equipara a film come 12 anni Schiavo e Il Caso Spotlight forse non l'ha visto bene o forse non l'ha proprio visto. Come ho detto nella recensione, Moonlight affronta temi pesanti e pericolosi, ma lo fa con delicatezza e soprattutto non compie mai l'errore letale di spiaccicarteli in faccia, ma te li racconta attraverso una storia. Questo e Hacksaw Ridge erano decisamente i film per cui facevo il tifo.
Per quanto riguarda La la land, ritorno a dire, grande baraccone, perfetto tecnicamente, ma senz'anima. Una storia romantica, come se ne sono viste tante (troppe), molto prevedibile con due sequenze mozzafiato che valgono tutto il film. Ma non venite a parlarmi di capolavoro, perché un capolavoro dovrebbe avere una sceneggiatura di ferro che quella di Chazelle è ben lungi dall'avere.
Giusto quindi l'Oscar a Damien il giovincello (un vero fenomeno), meno quello a Emma Stone, grande attrice comica che però nell'ultimo periodo se la sta sentendo un po' troppo calla. La preferivo personalmente agli inizi (La Rivolte delle ex, Superbad, La coniglietta di casa) dove aveva il coraggio di interpretare anche ruoli da "brutta". Il problema di quest'anno è che non aveva rivali all'altezza.
Meritatissimi i due oscar a Manchester by the Sea.
Per quanto riguarda le mie previsioni sono abbastanza soddisfatto (se avesse vinto La La Land avrei indovinato tutti i premi più importanti) ho perso qualcosa nelle categorie minori (sonoro, montaggio sonoro, costumi, effetti speciali), ma lì sono andato più a preferenza che a previsione.

domenica 26 febbraio 2017

Oscar 2017. I pronostici.

Miglior Film. Lalaland. Storia romantica dalla magnificenza tecnica, ma con una trama banale, scontata e dimenticabile. Dimenticabile come il film che farà la fine di The Artist. Altro film pluripremiato e sopravvalutato.
L'unico vero competitor potrebbe essere Moonlight, che ha vinto il Golden Globe, ma è un film troppo poco pomposo per poter ambire alla statuetta.

Miglior regia. Damien Chazelle(Lalaland). E' il vincitore annunciato. Il film è ampiamente rivedibile, ma questo ragazzo mostra di avere un gran talento e ci sono tre o quattro sequenze da brividi. In questa categoria non penso ci possano essere altri rivali.

Miglior attore protagonista. Casey Affleck (Manchester by the Sea). La categoria più incerta. Chi dice Washington, chi dice Gosling, chi dice Affleck. Io dico Casey perché nell'ultimo periodo l'Academy sembra dare possibilità anche agli outsider (pensiamo al Redmayne del 2015). Tra le tre interpretazioni è quella più originale e profonda. Grande prova anche per Denzel che però tiranneggia  troppo tutto il film; forse se ci fosse stato un altro dietro la macchina da presa in Fences sarebbe potuto essere calibrarlo meglio. Per ultimo Ryan: secondo me è un attore dal grande talento comico, ma la sua interpretazione nel film di Chazelle non è da oscar se escludiamo gli sguardi da cane bastonato in cui è un maestro.

Miglior attrice protagonista. Emma Stone. (Lalaland). Prima era scontata, dopo non più, adesso è ritornata ad essere scontata. Dico Emma Stone, anche se sinceramente non se la merita. Anche lei come Gosling attrice dal grande talento comico, in Lalaland manca però una prova drammatica come si deve. Subito dietro la Portman. Il ruolo, una donna della storia americana un po' pazzarella, sarebbe da oscar ad occhi chiusi, ma il film è stato abbastanza snobbato e lei un oscar l'ha già vinto. Tutto può succedere (anche la Swank ha vinto due oscar), ma la Portman non è un'attrice che si merita due oscar a nemmeno 40 anni. E poi c'è la Huppert che ha vinto il Golden Globe, ma gli americani agli europei se li inculcano di rado.

Miglior attore non protagonista. Mahershala Ali (Moonlight). Vincitore annunciato Mahershala Ali che ha veramente un bellissimo ruolo. Bravissimi anche Shannon in Nocturnal Animals e Lucas Hedges in Manchester.

Miglior attrice non protagonista. Viola Davis (Fences). Vince facile Viola Davis anche perché non ha chissà quale competitor. Io personalmente lo darei a Nicole Kidman perché il suo in Lion è un grande ritorno dopo anni di cagate e chirurgia plastica. Però il ruolo della Davis in Fences è veramente potente e riesce a tenere testa a Denzel per tutto il film. La Davis non è un'attrice che mi fa impazzire, però in questo caso è riuscita ad accantonare le spigolosità e la virilità che ha sempre mostrato nelle sue precedenti interpretazioni ed è riuscita invece a coniugare forza e femminilità.
Un'unica cosa posso dire a Viola: quando piangi evita di smocciolare.

Miglior sceneggiatura originale. Kenneth Lonergan (Manchester by the Sea). Non ci dovrebbero essere dubbi, quella di Lalaland è scritta un po' con i piedi, Lonergan invece ha dipinto un dramma familiare veramente come si deve, se gli devo rimproverare qualcosa forse è qualche esagerazione drammatica di troppo, però la costruzione dell'insieme è veramente notevole.

Miglior sceneggiatura non-originale. Berry Jenkins (Moonlight). Sceneggiatura con qualche buchetto qua e là, però che ha la capacità di affrontare un sacco di temi a forte rischio banalità e non scaderci mai.

Miglior film straniero. Vi presento Toni Erdmann. Dico il tedesco perché Farhadi l'ha già vinto, però è una categoria su cui sono indietro.

Miglior film d'animazione. Zootropolis. Personalmente non mi ha fatto impazzire, per carità l'idea del giallo è vincente come del resto quello della città con i diversi eco-sistemi. Ma a chi lo paragona ai capolavori Disney dico di riandarsi a vedere i capolavori Disney che forse non se li vede da un po' di tempo.

Miglior fotografia. Linus Sandgren (Lalaland). Poco da dire, vedetevi la scena di Stone e Gosling che ballano il tip-tap con sotto L.A. e finisce tutto là.

Miglior scenografia. Sandy e David Wasco (Lalaland). Anche qui il vincitore è annunciato e non ha grandi rivali.

Miglior Montaggio. John Gilbert (La Battaglia di Hacksaw Ridge). Il film di Gibson si merita almeno una statuetta e questa categoria è quella in cui potrebbe avere la meglio. La scena di guerra è montata veramente bene. Non è facile montare un film di guerra e rendere tutte le dinamiche visibili e comprensibili. Gilbert ci riesce alla grande.

Miglior Colonna Sonora. Justin Hurwitz (Lalaland). Poco da dire, grande colonna sonora. Se esci dal cinema e non fai altro che cantare significa che Justin ha fatto il suo lavoro come si deve.

Miglior Canzone. Audition (Lalaland). Tutti dicono City of Stars, ma per me Audition è più altisonante e patetica (in senso buono).

Migliori effetti speciali. Doctor Strange. Insomma la poetica grafica dietro questi effetti è veramente di grande effetto. Anche il Libro della Giungla è notevole, fare tutti quegli animali in computer grafica e poi renderli in modo così vero non è per niente facile. Come non è facile resuscitare Peter Cushing.

Miglior Sonoro. Laland

Miglio montaggio sonoro. La Battaglia di Hacksaw Ridge.

Migliori costumi. Allied.

Miglior trucco. Suicide squad. L'unica cosa bella del film.